Byiung-Chul Han e lo sciame digitale. Letture estive.

Byiung-Chul Han, sudcoreano ma docente di filosofia a Berlino, citatissimo, è un giovane filosofo emergente della globalizzazione digitale, con cinque anni di intensa attività pubblicistica. ‘Nello sciame, visioni del digitale’ ( edizioni Nottetempo) offre uno spaccato significativo del suo pensiero ‘post-digitale’ (post-digitale è un termine che uso io, perché l’autore si pone ‘oltre’ il mondo digitale – ma non saprei dire dove …- per osservare il sistema sociale creato dal nuovo medium della Rete). Da un mondo sconosciuto, che non dovrebbe essere, per ovvi motivi, il passato, egli registra una drammatica evoluzione del Homo Digitalis, non più contadino legato alla terra, non più fabbricante di oggetti incatenato alle macchine, ma nomade o meglio cacciatore di informazioni che usa il suo smartphone come i cacciatori paleolitici usavano lancia e frecce. 

In questo mondo, e con questo medium ondeggiante come il mare (di informazioni), non è più possibile costruire nulla: nessuno seminerebbe qualcosa sulle onde del mare! Tutte le categorie che conosciamo, come la verità, l’amore, la fiducia, ecc , si dissolvono in un ‘vento di spettri digitali’. Infine il potere, che passa dallo stato ai grandi provider planetari della Rete (o a un unicum dei due), diventa Psico-Potere Digitale, in grado non solo di controllare i nostri corpi (il Bio-Potere di Foucault) ma di conoscere con i Big Data e le tracce che lasciamo su tanti Google e Facebook i nostri pensieri. A quel punto il cerchio si chiude e anche la politica viene assorbita dai detentori dello Psico-Potere che controllano e indirizzavano le masse. 

La Rete, come luogo di intersoggettività e, perché no, di empatia (qui varrebbe la pena di citare il pensiero di Ardigo là dove l’autore cita quello di Vilém Flusser) scompare, era solo un’illusione della prima internet. La Rete è solo fonte di un ego autoisolazionista. 

Byiung-Chul Han, che è un filosofo e non un sociologo, viene trascinato nell’enfasi negativa di tanti studiosi che si sono imbattuti in cambi epocali del medium. Potremmo iniziare ricordando la critica di Platone alla scrittura (Fedro, 275 a.c.: “la scrittura, davvero come la pittura, ha qualcosa di terribile..”), quella dei preti alla stampa delle Bibbie di Gutemberg (1455) o quella Marshall McLuhan alla televisione. C’è da supporre anche il linguaggio, inventato dall’uomo circa 150.000 anni fa in Africa, sia stato considerato ‘cosa terribile’ da qualche antenato degli sciamani, visto che l’umanità ne aveva fatto a meno per diversi milioni di anni. 

Eppure nulla è più naturale antropologicamente che un cambio di medium. Il passaggio dal medium bidimensionale e atomico della carta (un foglio ha due dimensioni fatto di atomi, di materia) a quello a dimensione negativa e quasi senza massa dei bit (una particella che, come il fotone, è prodotto dal l’eccitazione di elettroni) non fa eccezione. Il bit (e domani il quanto) è l’unità di informazione dell’ombra delle cose che vediamo e sentiamo, fatte di materia e di energia. Ogni cosa (materia) e ogni pensiero (energia), che per Einsten non sono molto differenti, avrà sempre più un corrispondente dematerializzato in pura informazione in qualche nodo della Rete (e condiviso tra nodi in un grafo, una espressione, anch’esso, della mappa dinamica della Rete, un medium dematerializzato come la mappa dei miei amici di Facebook). 

Che poi questo nuovo medium cambi i rapporti politici e di potere, è altra cosa. Certo ci fa vivere in un mondo non più dominato dalla burocrazia novecentesca (che non ha mai amato internet) e non è poco. In questo momento io posso scrivere e pubblicare questo testo senza chiedere un favore a qualche giornale o a qualche editore, e anche questo è tanto. 

Siamo fatti di sogni e di emozioni e richiediamo prodotti per soddisfarli, come la la sicurezza, la salute, i cibi buoni; e non di rado compriamo perfino l’amicizia, l’amore è l’affetto, tradizionalmente forniti da circuiti familiari e amicali. La Rete cerca di rubarci con i socialnetworks queste emozioni per venderci questi prodotti. È un gioco sottile, antropologico, che non può spaventarci come non si spaventano in nostri ragazzi che giocano a catturare mostriciattolo con Pokemon Go. 

Questi ragazzi saranno molto meno addomesticabili dei loro padri e dei loro nonni, che hanno vissuto in un mondo parzialmente globalizzato o non digitalizzato: saranno molto meno addomesticabili di noi alle logiche del potere.

Byiung-Chul Han non può non saperlo. La sua critica ci riporta inconsapevolmente in un passato ideale che non è mai esistito e che, comunque, nessuno vorrebbe far rivivere per davvero.

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