La sanità italiana è buona, forse eccellente, ma…

La sanità italiana è buona, forse eccellente, ma non per questo si può dire che funzioni. Per comprendere il paradosso propongo di leggere quanto scrive oggi Antonio Napoletano – giornalista, storico e sferzante commentatore della realtà sociale bolognese – oggi su FaceBook. Il pezzo è ‘crudo’ e può apparire indigesto, ma conviene leggerlo.

BIOPOLITICHE di Antonio Napoletano ( da Facebook)

Sono un sopravvissuto, salvato da morte sicura dalla Cardiochirugia del S. Orsola. Uno dei tanti ai quali la Sanità Pubblica ogni giorno salva la vita.

E allora dov’è il problema? Qual’ è la notizia? Chi sta mordendo chi?

La notizia, il paradosso, è che, laddove funziona o ancora non si è arresa, la Sanità Pubblica ti salva dalla situazione estreme , ma è incapace o si rende incapace di curarti ordinariamente, di prendersi cura di te.

E’ questo che stiamo supinamente accettando, normalizzando, ed è per questo che presto, molto presto ci condurrà laddove facciamo finta non ci ridurremo mai. Ma andiamo per ordine.

L’evento eccezionale, la performance eccellente, copre un disimpegno nel funzionamento ordinario ormai agli estremi. Quello per intenderci delle liste d’attesa, dei costi gestionali trattati azienda per azienda – sì, il balletto di definizioni non è stata una stravaganza senza effetto sulla realtà nominata – delle procedure burocratiche che ti fanno apprezzare la velocità del privato, per non dire dei ticket, comparsi per un ‘aggiustamento’ e ormai una realtà permanente e a prescindere. Insomma, dal niente si è fatto spazio a una economia mista sanitaria nel più classico dei modi: al pubblico il deficit e l’eccellenza di prestazioni al limite, al privato il grasso della profittabilità quella derivante dalle inefficienze e/o ‘semplici’ dismissioni del pubblico – una per tutte quella dello smantellamento della Riabilitazione – del normale, routinario prendersi cura di sé.

Pensata come ‘universale’ – per Agnelli, che infatti si fece operare al cuore alle Molinette, così come per l’ultimo dei barboni – la Sanità Pubblica , essendo ia cartina di tornasole del grado di welfare e del potere che su di esso si esercita e vigila la coscienza popolare, ha ballato la sola estate dei partiti di massa che l’hanno voluta. Essa però costituisce da sempre il bersaglio grosso di quel pensiero che, all’insegna del lamalfiano “stiamo vivendo al di sopra dei nostri mezzi”, ne ha prima reso impossibile un funzionamento snello, efficiente, razionale e poi in nome della santa lotta alle ‘caste’ ne ha denunciato e messo sotto accusa gli sprechi, le corruttele, l’elefantiasi burocratica, i gretti corporativismi, le inefficienze funzionali e meno e cosi via elencando. In questo cupio dissolvi si è distinta quella sinistra ‘migliorista’ che ha via via consentito con le ragioni profonde del nemico e fino al punto che non si è più potuto distinguere, anche in questo caso, destra da sinistra chi sta con chi e perché, diventando la notte in cui tutte le vacche sacre della politica polticante muggivano alla stessa maniera, per gli stessi scopi, le stesse ricette. Ci hanno fatto sopportare tutto. Dapprima lo squallore di un regime ospedaliero ancora inquinato dalla lunga storia caritatevole, poi ci hanno ‘dimostrato’ che i grandi ospedali erano ingovernabili e inefficienti, poi smantellando laddove non c’erano gli ‘standard’ la rete secolare dei piccoli ospedali , sempre convenzionando col privato,facendo infine della rete ospedaliera così ripulita una rete sui generis di ‘aziende’ a prestazioni contenute. Sette e non più di sette giorni, i ricoveri e una stretta su tutti gli accertamenti che l’osservazione medica pure non manca di elencare e prescrivere nel ’foglio di via’ che vi accompagna all’ingresso. Un modo come un altro per scaricare sul malato convalescente costi impropri e per i quali ha già pagato. Così il dissestato sistema fiscale diventa un alibi per dare alle tecno oligarchie locali che spadroneggiano sulla e nella azienda sanitaria in accordo con tutte le corporazioni, il cui peso peraltro non è diminuito, ancora più potere. Il potere dei conti depurati dai costi sociali, quelli che non contano, che nessuno e più rappresenta e cura. Mentre il messaggio che passa è che se hai soldi ti curi e a tempo debito, altrimenti ti accontenti di quello che passa il convento e t’acconci ai suoi tempi, alle sue procedure.

E’ fatale che milioni di cittadini rinuncino a curarsi. Che altri milioni siano in balia di un moloch che non sente ragioni e che costa sempre troppo rispetto alla defintiiva e ‘razionale’ dismissione dall’universalismio delle prestazioni e cure e alla definitiva ‘riforma’ – sempre più necessaria- di un restringimento drastico della platea degli aventi diritto.

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