I Social Street sono l’inizio di una ‘dematerializzazione’ della partecipazione politica metropolitana. Ma gli studenti non li conoscono. Ieri confronto alla Cattolica di Milano

Ieri, in uno dei templi della sociologia italiana, Giancarlo ROVATI, Direttore del Dipartimento di Sociologia, ha chiesto agli studenti –  presenti numerosi alla presentazione di un libro sul pensiero socio-tecnico di Achille Ardigò – ‘conoscete i Social Street?  Nessuno li conosceva. Eppure quelli italiani sono stati citati dal New York Time. Ho cercato di spiegare che i Social Street non sono una moda (forse, anche, ma questo ci interessa ben poco) bensì l’izio di un lungo processo di ‘dematerializzazione’ e ‘virtualizzazione ‘della città, dopo quella dell’industria (l’automobile si fa con Internet) dei servizi, dell’Ospedale, ECC. Ho detto: io sono qui a Milano, da oltre un anno, per ‘dematrializzare’ e ‘virtualizzare’un grande e prestigioso ospedale,  l’Istituto Nazionale Tumori. Mi guardavano tutti un po’ perplessi. Eppure non è un concetto difficile da capire. Non da oggi per stampare un libro devo prima ottenerne una versione in bit, poi ‘virtualizzarlo’ con informazioni dematerializzato in un file. È già così per le motociclette Ducati e per una cura. Lo stesso procedimento verrà utilizzata per la partecipazione ‘politica’ (nell’era post- burocratica, quella che viene dopo i partiti novecenteschi). Con me a questo interessante confronto, oltre a Rovati, Marco GRANELLI (Assessore a Mobilità e Ambiente del Comune di Milano),  Rosa Maria AMOREVOLE (Presidente Quartiere Santo Stefano del Comune di Bologna , Vincenzo CESAREO (Università Cattolica), Costantino CIPOLLA (Università di Bologna).

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