Ieri Il professore Riccardo Prandini, ordinario di sociologia nella nostra università, ha tenuto una lezione alla Scuola Achille Ardigò del Comune di Bologna sul ‘Welfare delle Potenzialità’. Prandini è un sociologo di grande energie e vivacità intellettuali – ha una ‘produzione’ scientifica di tutto rispetto – ma di difficile ‘interazione’, forse per la sua vicinanza al pensiero e alla dialettica luhmanniana . Di lui ho molto apprezzato le sue analisi di ‘de-verticalizzazione’ del welfare (detto in altre parole: quando i servizi pubblici, come scuola, assistenza sociale, sanità, agiscono ognuno per loro conto sulla stessa persona, senza interagire tra loro stessi, diventano ancora più auto-referenziali), anche se non sempre sono riuscito a seguirlo – per mia incapacità e limiti intellettuali- nelle sue complesse analisi del presente. Rifiutandosi di essere portatore di un ennesimo ‘modello’ di Welfare tra i tanti – a Prandini non piacciono i modelli e non possiamo dargliene torto – preferisce parlare più di nuove potenzialità che di nuove opportunità. Di particolare interesse è la sua riflessione sulla ‘gestione’ del welfare e sul ruolo dei manager in questo campo (Management del Welfare). Un manager che tutto preso dal tentativo di super visionare e controllare, è incapace di produrre autentica innovazione e dare speranze. Ci vorrebbe per questo – si è detto ieri, nel vivace confronto alla Sala del Risorgimento del Museo Civico bolognese sede delle lezioni della Scuola – un ‘assessorato ai sogni’, alle illusioni, che ancora non c’è!. Un po’ come quello strano edificio che nel ‘28 fu costruito a Trisigallo, la Città dei Sogni sorta nel ferrarese ad opera dei futuristi-razzolasti (che erano anche fascisti della prima ora, ma questo non si può dire, foto). Prandini poi pensa , da studioso di Luhmann, che non occorra fare grandi ‘rivoluzioni’ per superare la crisi del welfare di cui tanto si parla e si sparla. In fondo l’azione ‘politica’ dei cittadini, o di qualcuno per loro, serve a ‘irritare’ il sistema che è l’unico modo per sperare in qualche cambiamento. Achille Ardigò, che era per molti aspetti affascinato dal Luhmann, si discostava invece dal filosofo tedesco proprio su questo aspetto. Il rifiuto del sogno, della speranza in rapidi cambiamenti globali, certo difficili e spesso perfino distruttivi, ma secondo lui necessari (anche solo a livello di pura illusione). Ardigò poi, nei fatti, era il più ‘luhmanniana’ di tutti, nel senso che promuoveva una costante ‘irritazione’ al sistema (politico, istituzionale, lobbistico) di cui pur, per tanti aspetti – i migliori – faceva parte. A dimostrazione di ciò potremmo portare la stessa ‘ingratitudine del sistema’ nei suoi confronti, delle istituzioni e del potere politico, che non gli conferirono né un attestato di professore emerito (l’Università non li ha rifiutati praticamente a nessuno) né alcun Archiginnasio o Nettuno d’Oro, dati entrambi con generosità a tanti, meritevoli o meno.Tornando al Welfare. Cosa si può fare per superare la benedetta ‘crisi’ che non ci da mezzi, soldi, idee giuste per assistere quel 90% di non autosufficienti che si devono arrangiare; oppure per non lasciarti in mezzo a una strada, con foglietto (referto) in mano, dopo che sei andato al Pronto Soccorso; oppure ti fa chiudere il punto Cup dell’Ospedale Sant’Orsala a cui si rivolgevano i cittadini di mezza Bologna [ma allora la crisi del welfare c’è davvero, anche da noi, nonostante le insofferenze di Prandini per questa logora espressione? Si, io penso che ci sia]. Il professore luhmanniana, scherzando, ci dice: mica possiamo portare i cittadini dentro le istituzioni, ad esempio dentro il Comune, la Regione, l’azienda sanitaria a fare il mestiere dei politici, dei manager, degli impiegati e degli infermieri, mandando questi a ‘fare i cittadini’? Chissà cosa succederebbe. Cose da Comune di Parigi del 1871, da Gillet Gialli, nemmeno da ‘grillini penta stellati’. È vero. Non possiamo. Ma qualcosa – oltre la dialettica luhmanniana che ci consiglia di continuare a ‘irritare’, solleticare il sistema sperando in qualche positivo cambiamento del pachiderma – pur dobbiamo fare! Noi come Scuola Ardigò cerchiamo continuamente di sollecitare (e perfino, a vote, di ‘irritare’), dall’interno di una importante istituzione come quella del Comune di Bologna, il sistema. E spesso perfino ci riusciamo, sperando così di ottenere qualche positivo cambiamento, qualche ‘piccola innovazione’, come amava dire sotto voce Achille Ardigò nelle sue conversazioni riservate. Continueremo a farlo guardando anche oltre, al mondo istituzionale, alle Asl, perché no, alla grande Regione e oltre. Chissà, forse faremo ‘Scuola’ .
Scuola Ardigò del Comune di Bologna. Il Sociologo Riccardo Prandini, il Welfare delle Potenzialità e la capacità di ‘irritare’ il sistema.
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